Still I Rise: un faro di speranza per bambine e ragazze rifugiate
- It's time for human rights
- Mar 11, 2021
- 5 min read
Quale ruolo ricopre l’educazione nelle nostre vite?
Mi piacerebbe affidare la risposta alle sagge parole di Irina Bokova, ex Direttrice Generale dell’UNESCO:
“Nessuna forza di cambiamento è più potente dell’educazione per promuovere i diritti umani e la dignità della persona, per sradicare la povertà e favorire la sostenibilità, per costruire un futuro migliore per tutti, fondato sull’uguaglianza dei diritti e sulla giustizia sociale, sul rispetto della diversità culturale, sulla solidarietà internazionale e sulla responsabilità condivisa, tutti aspetti fondamentali della nostra comune umanità”.
Quindi, possiamo dedurre quanto l’educazione sia indispensabile per ognuno di noi come singolo individuo e come membro di una collettività.
Il diritto all’educazione è considerato un diritto umano fondamentale. Per tale ragione, è affermato e tutelato in una molteplicità di strumenti di diritto internazionale. Per un maggior approfondimento sul tema, vi consiglio di dare un’occhiata all’articolo Il Diritto all’Educazione della nostra rubrica Diritti in pillole.
In occasione della Giornata Internazionale della Donna, vogliamo porre i riflettori sul godimento effettivo di questo diritto da parte di bambine e ragazze.
Prendendo spunto dalla mia esperienza, sono sicura che ci sia ancora qualcun* che mi dirà: ancora con questa storia? Ormai, anche le femmine vanno a scuola, perché parlarne?
La risposta è molto semplice. Il diritto all’educazione declinato al femminile vige solo sulla carta, ma nella realtà dei fatti ancora troppe bambine e ragazze restano escluse dall’universo scuola, con la conseguenza che non potranno beneficiare delle stesse opportunità di crescita e miglioramento personale della controparte maschile.
Quando mi capita di parlare con altre persone di questi temi, vengo bollata come la femminista estrema, che vuole sempre e solo vedere il marcio in ogni situazione.
Ebbene, non è così. Basterebbe semplicemente decidere di spogliarsi dei propri paraocchi, che impediscono di vedere oltre il proprio paradiso terrestre, per rendersi conto che i dati sono sempre più allarmanti.
Secondo i dati dell’UNICEF, le disparità di genere nell’istruzione non sono mai veramente scomparse. Ad oggi, nel mondo, sono 132 milioni le ragazze che non frequentano la scuola. La situazione diventa ancora più preoccupante se si passa all’istruzione secondaria, dove solo il 45% dei paesi ha raggiunto la parità di genere nell'istruzione secondaria inferiore e il 25% nell'istruzione secondaria superiore.
Perché sussistono queste diseguaglianze di genere?
Gli ostacoli, che impediscono alle bambine e alle ragazze di conseguire un’educazione di qualità e duratura nel tempo, sono numerosi e di diversa natura.
Un ruolo di spicco è giocato dalla scelta familiare di investire nell’istruzione dei membri maschili della famiglia piuttosto che in quella femminile, in quanto la donna deve rimanere a casa a dare una mano nelle faccende domestiche.
La povertà, i matrimoni precoci e le violenze di genere contribuiscono a tenerle lontane da un apprendimento che, invece, potrebbe essere per loro fonte di riscatto. Inoltre, in certi contesti, dove stupri e rapimenti sono ricorrenti, le famiglie preferiscono non mandare le proprie figlie a scuola per evitare che debbano affrontare circostanze di pericolo lungo il tragitto.
È stato anche notato sia da UNICEF sia da Save the Children che, laddove i servizi igienici sono carenti o addirittura assenti, il tasso di abbandono scolastico aumenta. Ad esempio, in molti paesi, il ciclo mestruale rappresenta ancora una vergogna per molte ragazze, le quali decidono di terminare il proprio percorso formativo alla prima adolescenza.
In uno scenario già così desolante, se sei una bambina o una ragazza rifugiata, costretta a fuggire dal paese d’origine alla ricerca di una vita degna, allora il muro che ti divide dalla scuola è ancora più difficile da scalare.
La Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato riconosce a questi soggetti giuridici il diritto ad un’educazione pubblica (art. 22). Ma, come spesso accade in campo giuridico, tra quello che è impresso sulla carta e quelle che sono le iniziative statali per implementarlo ci passa il mare.
Questo caso non fa differenza.
I dati forniti dall’UNHCR testimoniano una discrepanza significativa tra la percentuale di bambini rifugiati iscritti alla scuola primaria e quella degli iscritti alla secondaria: per la primaria, è stata registrata una frequenza del 77%; invece per l’istruzione secondaria, il 36% è costituito dai ragazzi e il 27% dalle ragazze.
Per le bambine rifugiate, le possibilità di accesso all’istruzione sono ridotte rispetto a quelle dei bambini. Addirittura, queste stesse possibilità si dimezzano per la scuola secondaria.
La pandemia da Covid-19 ha esasperato questo quadro. Le misure di contenimento del virus includono la chiusura delle scuole e l’adozione della didattica a distanza, che però non è accessibile a tutti. Questo comporta che milioni di giovani restano ai margini della conoscenza.
Per le giovani donne, gli effetti devastanti della pandemia implicano matrimoni forzati, gravidanze precoci, abbandono scolastico e violenze di genere.
Il Coronavirus ha aumentato la povertà mondiale, costringendo sempre più famiglie oltre la soglia di povertà. Pertanto, queste famiglie considerano il matrimonio l’unica alternativa possibile per garantire la sopravvivenza delle proprie figlie. Tuttavia, questa decisione le espone a violenza e sfruttamento sessuale, gravidanze precoci e aumento del tasso di mortalità materna.
La chiusura delle scuole ha privato 1,6 miliardi di bambini dell’istruzione; le bambine e le ragazze hanno possibilità quasi inesistenti di fare ritorno sui banchi di scuola a causa delle pressioni familiari (matrimonio; figli; parenti malati di Covid da accudire).
Il Malala Fund stima che nei paesi dove le rifugiate iscritte alla scuola secondaria era già inferiore al 10%, post pandemia il rischio che abbandonino definitivamente gli studi è considerevolmente alto.
D’altro canto, è opinione abbastanza diffusa che investire nell’istruzione femminile potrebbe innescare un circolo virtuoso: si rafforza l’economia; si riducono le diseguaglianze; si creano società più stabili e resilienti capaci di assicurare a tutti gli individui al di là del genere di appartenenza l’opportunità di realizzare il proprio potenziale.
Un faro di speranza è rappresentato da Still I Rise, un’organizzazione non-profit che dal 2018 si occupa di educazione e protezione dei minori profughi in Grecia, Turchia, Siria e Kenya.
Abbiamo deciso di parlare del loro impegno, poiché condividiamo e crediamo come loro nel potere trasformativo dell’educazione. Educare giovani e adulti al rispetto reciproco e all’importanza dei diritti umani è un passo fondamentale per innescare una vera rivoluzione.
Still I Rise attraverso le sue scuole porta speranza e sogni in quei posti dimenticati da tutti gli altri. I bambini e le bambine si riscoprono tali malgrado gli orrori vissuti; hanno finalmente trovato qualcuno disposto a dare voce ai loro bisogni e a battersi per i loro diritti, quando chi avrebbe dovuto difenderli e proteggerli legalmente ha voltato loro la faccia.
Le bambine e le ragazze nelle scuole di Still I Rise hanno conosciuto la sensazione di essere apprezzate ed ascoltate a 360° in un ambiente attento alle loro richieste ed esigenze.
“In ogni nostro programma scolastico puntiamo a dare forza alle ragazze, in modo che acquisiscano più fiducia in se stesse e nelle loro capacità. Portiamo a modello concreto le insegnanti donne, che rappresentano l’80% dello staff della nostra scuola di Nairobi: il messaggio che cerchiamo di trasmettere è che, attraverso lo studio, ogni ragazza può avere un lavoro proprio e acquisire il potere di diventare tutto ciò che sogna”. Le parole di Racheal Wanjiru, preside della Still I Rise International School in Kenya, esprimono a mio parere l’essenza dell’impegno di questa organizzazione a favore delle donne.
La storia di Nahid è esplicativa di quanto le attività di Still I Rise facciano la differenza nella vita di una persona. Dopo essere stata per un anno a Samos, Nahid è stata trasferita nel campo profughi di Ritsona, dove si è unita al Movimento Giovani Rifugiati e si è impegnata per migliorare la vita dei bambini e delle bambine del campo.
“Voglio che vadano a scuola e abbiano il diritto di studiare e inseguire i loro bellissimi sogni”.
Cara Nahid, condividiamo il tuo stesso desiderio e ci auguriamo che tu e tutti gli altri bambini e le altre bambine nel mondo possiate realizzare i vostri sogni.

Martina Benincasa
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