La violenza di genere nella storia: Anna Bolena
- It's time for human rights
- May 4, 2021
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La violenza di genere è, purtroppo, un argomento che trova ampio spazio e risonanza nella cronaca di tutti i giorni. Eppure, seppur con le dovute differenze, è qualcosa che è sempre stato presente nel corso della storia.
Qui analizzeremo alcune figure femminili divenute tristemente note anche, e forse soprattutto, in quanto vittime di violenza di genere.
La prima figura scelta è quella che è considerata tra le Regine più famose della storia: Anna Bolena.
Non voglio raccontare qui la storia di Anna, nota bene o male a tutti.
Nata nel 1501 o 1507, passa l'adolescenza tra la corte di Margherita dei Paesi Bassi e quella di Claudia di Francia, dove ha la possibilità di ricevere un'educazione, cosa all'epoca rarissima per le donne. Si rende necessaria qui una piccola digressione; le donne, di qualsiasi rango o posizione sociale, erano viste principalmente come ''merce di scambio''. I figli maschi avrebbero ereditato titoli, attività e quant'altro, mentre le figlie venivano ''usate'' per contrarre matrimoni vantaggiosi ed accrescere il prestigio della famiglia di origine: non era quindi necessario che ricevessero un'educazione. Proprio per questo motivo, Anna viene richiamata in Inghilterra dal padre, il Conte Thomas Boleyn, diplomatico alla corte di Enrico VIII; avrebbe dovuto sposare un cugino più vecchio, James Butler, e porre così fine ad una questione legata all'eredità di un titolo nobiliare e di una contea irlandese. Il matrimonio però non avvenne e Anna divenne dama di corte di Caterina D'Aragona. Quello che successe dopo, è noto a tutti.
Enrico VIII, sposato da venticinque anni con Caterina d'Aragona, non aveva nessun erede al trono. Caterina aveva partorito solo una figlia, Maria, mentre i figli maschi erano tutti nati morti o morti pochi mesi dopo la nascita. Enrico ormai disperava di avere un figlio da Caterina e la questione lo angosciava incredibilmente; avendo vissuto in prima persona le conseguenze della Guerra delle Due Rose, voleva evitare ad ogni costo di lasciare il regno diviso da questioni dinastiche. Ma Caterina è anziana, probabilmente non potrà più avere figli. Enrico nota Anna, sorella di Maria che è una delle sue amanti. Ma Anna si era segretamente fidanzata con Henry Percy, figlio del Conte di Northumberland: fu lo stesso Enrico, tramite il cardinale Wolsey, ad annullare il tutto per disparità di rango sociale. Enrico vuole Anna per sè, cosa volesse lei aveva poca importanza, sia per il Re ma soprattutto per la sua famiglia.
Anna divenne pedina in un gioco molto più grande di lei, manovrata da interessi ed ambizioni familiari: per troppo tempo descritta come ambiziosa e crudele, era semplicemente una donna del suo tempo; per quanto colta e intelligente, era sempre subordinata alle decisioni che gli uomini, della sua famiglia prima e il marito dopo, avrebbero preso per lei. Viene spinta a non cedere alla corte del Re che, resosi conto che non avrebbe mai accettato di essere la sua amante, intraprende il processo di annullamento del matrimonio con Caterina, anch'essa pedina tra famiglie reali, alleanze dinastiche e questioni di potere.
Per diversi anni la ''Grande Questione'', come venne ribattezzato il processo, tenne banco nelle diverse corti europee e il Papato. Enrico, tramite Wolsey, aveva presentato istanza di annullamento a Papa Clemente VII (Giuliano De Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico), adducendo svariate prese di posizione favorevoli al matrimonio con la Bolena da parte di molti studiosi di diverse corti europee e, soprattutto, lodi sulla castità e riservatezza di Anna. Ed è qui che si inserisce un'altra questione, che getta ancora più luce sul ruolo della donna dell'epoca: la verginità era una dote da preservare per accrescere le possibilità di trovare un buon partito, un biglietto da visita che testimoniasse l'integrità del ''prodotto''.
La questione venne analizzata da diversi punti di vista, ma probabilmente si sbaglia a leggerla sia da un punto di vista teologico/religioso che d'amore: quello che era in ballo era semplicemente il potere. Da una parte, Re Enrico VIII voleva proseguire la dinastia Tudor ed evitare di lasciare l'Inghilterra preda di guerre civili. Dall'altra, Papa Clemente VII non voleva inimicarsi la Spagna, alleata e protettrice del Regno Pontificio: Caterina era infatti zia di Carlo V, Imperatore del Sacro Romano Impero. E sia Caterina che Anna, in questo lungo processo che riguardava entrambe, ebbero poca voce in capitolo: entrambe allontanate dalla corte, silenziate per motivi diversi, sebbene entrambe furono protagoniste di ciò che cambiò per sempre il volto della storia europea. Enrico, infatti, stanco dei continui rimandi, divieti e negazioni del Papa prende una decisione drastica: fa sue le tesi di Lutero, separandosi dalla Chiesa di Roma e fondando la Chiesa Anglicana. E fu proprio Anna ad introdurre Enrico, che aveva addirittura ricevuto il titolo di Difensor Fidei (difensore della Fede) dal Papa anni prima, alla Riforma Protestante e alle idee luterane tradotte da William Tyndale; fu, in parole povere, Anna Bolena che condusse l'Inghilterra all'indipendenza da Roma e in breve, essendo un discorso molto ampio, ad una crescita economica del Paese.
La parabola ascendente di Anna durò solamente tre anni. Poco dopo il matrimonio con Enrico, nasce la loro unica figlia, Elisabetta, seguita anche lei da diversi aborti, soprattutto di feti maschi. Ancora una volta, Enrico è terrorizzato dall'idea di non avere un erede e di ciò incolpa Anna. Le conoscenze medico/scientifiche dell'epoca erano ovviamente molto limitate ed era facile attribuire alla donna la mancanza di figli maschi. La posizione di Anna è a rischio, ma in realtà non era mai stata al sicuro; figlia di una famiglia nobile ma di basso rango, non aveva la protezione di una Casata Reale come Caterina. Il padre e lo zio di Anna avevano macchinato e tramato per conquistare una posizione sociale sempre più ampia e titoli nobiliari, sfruttando ed usando la figlia/nipote per i loro scopi. Anna non conquistò mai particolari simpatie nella corte inglese, nè tra gli ambasciatori europei e i comportamenti dei suoi familiari non fecero altro che acuire le antipatie verso la nuova Regina. Il Papa la definiva ''la puttana del re'', molti a corte anche dopo il matrimonio continuavano a definirla ''la concubina''. Chapuys, ambasciatore spagnolo alla corte di Enrico, nelle sue corrispondenze con Carlo V non mancava di riferirsi a lei come ''la cornacchia nera'', sebbene in futuro, parlando di Jane Seymour, terza moglie di Enrico, disse che non aveva un minimo dell’intelligenza e del carisma della Regina Anna.
Ciò che aveva fatto emergere Anna tra le altre dame di corte e l’aveva messa in risalto agli occhi del Re divenne poi la sua rovina. Era intelligente, carismatica, anche troppo. Enrico era rimasto affascinato da queste sue doti, da una donna che sapesse tenergli testa, che sapesse come conversare di vari argomenti. Ma, probabilmente, Enrico sperava, come molti uomini dei nostri giorni, che Anna si trasformasse nella donna soprammobile dopo il matrimonio: zitta, con il solo compito di sfornare figli, pronta ad accettare qualsiasi decisione presa dal marito, andasse anche contro la sua dignità. Se, vista l’epoca, fosse mai possibile parlare di dignità della donna. Fu chiaro immediatamente che Anna era una donna atipica per la sua epoca: estremamente intelligente e poco disposta ad accettare silenziosamente i tradimenti del marito e a continuare a essere usata dai suoi familiari, ben presto iniziò a far sentire la sua voce nelle questioni che la riguardavano.
Ma, in un’epoca e in una società talmente maschilista, tutto ciò non poteva che avere un finale tragico. Enrico decise di sbarazzarsi di quella moglie ingombrante, a volte forse più brillante di lui. I suoi consiglieri, Thomas Cromwell in primis, montano un processo farsa; Anna è accusata di desiderare la morte del Re, di cospirare contro di lui e di tradimento, perfino di incesto con suo fratello George e stregoneria. A oggi è storicamente accettato che nessuna delle accuse fosse vera. Poco importa però: Enrico voleva sbarazzarsi di lei, come un giocattolo ormai privo di uso; fu abbandonata pure dalla sua famiglia che, dopo averla sfruttata, decise di lasciarla al suo destino. Non solo: sia suo padre che suo zio erano tra i membri del tribunale che la condannarono a morte. Fu giustiziata con un colpo di spada il 19 maggio del 1536, alla Torre di Londra: non era stata neanche preparata una bara e venne sepolta senza cerimonie. Fu molti secoli dopo, durante il regno della Regina Vittoria, che i suoi resti e quelli degli altri uomini uccisi con lei furono ritrovati e sepolti in modo dignitoso.
Anna è un esempio di femminista ante litteram, ma anche di donna usata, sfruttata e poi eliminata perché considerata troppo intelligente, scomoda. Una donna che rifiuta di essere un giocattolo nelle mani maschili, un mezzo per raggiungere gli scopi di qualcun altro. E’ intelligente, forte, non esita a fare sentire la sua voce, soprattutto quando deve difendere sua figlia Elisabetta, così come non esita a farsi valere anche con la propria famiglia, poco interessata a lei come essere umano. E’ acculturata, possiede un grande acume politico al punto da mettere spesso in ombra il marito che, appunto, si sente minacciato, minato nella sua mascolinità. Ed ecco che si giunge alla soluzione definitiva: Anna va eliminata.
Non fosse successo secoli fa, tutto ciò potrebbe tranquillamente trovare posto nelle notizie di cronaca nera. L’uomo che considera la donna un oggetto, una sua proprietà da usare, sfruttare e umiliare a suo piacimento. La donna che cerca di far valere i suoi diritti, la libertà di poter essere se stessa, rischiando e pagando con la sua stessa vita perché vista come una minaccia all’ego maschile.

di Tatiana Barone
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