Matriarcato, dalle origini al mito
- It's time for human rights
- Mar 16, 2021
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Updated: Mar 17, 2021
Come ogni anno, da moltissimo tempo, anche questo 8 Marzo il mondo ha celebrato la Giornata Internazionale della Donna. Un'occasione per ribadire l'importanza della parità di genere e, soprattutto, sottolineare la mancanza dei più basilari diritti umani per le donne di alcune culture e parti del mondo.
L'argomento di cui vogliamo parlare qui riguarda proprio un'antica forma di società e cultura: il matriarcato.
Il termine ''matriarcato'' venne coniato alla fine del XIX secolo in seno agli studi antropologici che indicavano l'esistenza di società dove il centro della società erano le donne.
Le origini di questa organizzazione sociale risalgono agli albori dell'umanità. Senza testimonianze scritte nel tempo, gli antropologi si sono basati su quella che da sempre è considerata la più potente forma di civilizzazione: la religione.
In particolare, l'antropologo svizzero Johann Bachofen, nel 1861, sviluppò una teoria sul matriarcato che venne però rifiutata dalla comunità scientifica. Le sue teorie, in effetti, presentano alcune lacune di tipo temporale: le civiltà matriarcali sono esistite nell'epoca precedente a quella presa in considerazione da Bachofen.
Bachofen affermava che le civiltà pre-indoeuropee si fossero formate sulla supremazia della donna sull'uomo, secondo un principio che poneva la fertilità della donna come elemento base per ogni organizzazione sociale. Le teorie di Bachofen si basavano sui numerosi ritrovamenti archeologici di varie Veneri Paleolitiche: statuette di circa 25 mila anni fa, probabilmente votive, archetipi di fertilità con seno e ventre abbondanti.
La donna come creatrice, la Dea Madre il cui culto si sviluppa soprattutto nelle civiltà mediterranee.
Ma Bachofen ci racconta anche di una società matriarcale più oscura e crudele. Quella ad esempio narrata dal mito greco delle Amazzoni, terribili guerriere greche il cui nome per primo rappresenterebbe un rifiuto dell'idea della donna esclusivamente come emblema di fertilità.
''Amazzone'' significherebbe infatti ''senza seno'': le guerriere erano solite, secondo la leggenda, bruciare o addirittura tagliare il seno destro per poter usare meglio l'arco. Privarsi del seno, un simbolo di fertilità.
Ricalcando le orme di Artemide, la dea selvaggia e dalla natura a volte vendicativa, che chiede al padre Zeus di poter vivere nei boschi, di poter controllare la natura e gli animali e che, come le Amazzoni, vive libera con le sue ninfe che, come lei, sono vergini e tali rimangono, fuggendo la compagnia degli uomini e uccidendo i malcapitati che osano avvicinarsi troppo. Artemide è, nella psicologia moderna, l'archetipo della donna forte, indipendente, che coltiva la sua realizzazione, senza la necessità di un uomo accanto.
Civiltà risalenti al Neolitico, nate e sviluppatesi dal culto della Grande Dea, la Dea Madre e dal culto della fertilità, della rigenerazione, della nascita, dell'abbondanza. Ma matriarcato non aveva il significato della predominanza della donna sull'uomo, come erroneamente sostenuto da Bachofen, bensì il vivere in una situazione paritaria, basandosi sulla cura e il rispetto reciproco.
E' l'antropologa Marija Gimbutas che, negli anni ’30, ipotizza per prima l'idea che le civiltà matriarcali fossero caratterizzate sia dall'assenza di conflitti, ma anche da un rapporto donna-uomo paritario, provato da ritrovamenti di statuette votive ubicate dentro sepolture e che indicavano la mancanza di differenze sociali tra gli esseri umani. Il matriarcato come esempio di civiltà fondate sul principio di equilibrio di genere.
Anche l’Italia ha visto un periodo di affermazione matriarcale: le sue origini vanno ricercate in Sardegna, la culla della più antica civiltà italiana; portata, secondo la studiosa italiana Momolina Marconi, da un popolo chiamato Pelasgi e proveniente dall’area egeo-cretese, dalle coste Africane e dall’Anatolia. È opinione concorde, infatti, tra gli studiosi, che le culture dell'inizio del II millennio a.C., ossia tutte le civiltà pre-elleniche della Grecia occidentale, presentassero tratti comuni di tradizione matristica.
Adoratori della Grande Madre Mediterranea e costretti ad emigrare, sia a causa di cambiamenti climatici che per le invasioni dei primi popoli di stampo patriarcale, queste civiltà si diffusero ampiamente in tutto il Mediterraneo, portando con sé la cultura matrilineare.
"Due popoli, discendenti degli antichi giganti, vennero ad occupare in epoche diverse le regioni fertili, ospitali e ancora poco abitate della penisola italiana: i Sardi e poi gli Etruschi".
Ma come e quando il matriarcato vede la sua fine?
Sono diverse le teorie su questo argomento.
Tra quelle maggiormente citate, troviamo quella di Friederich Engels nel suo L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato dove il filosofo tedesco correla la fine del matriarcato con il sorgere dei primi cenni di proprietà privata, quindi ad un allontanamento da una società comunitaria e condivisa ad una basata su logiche di proprietà, dominio e potere.
Secondo Marija Gimbutas, la causa è da ricercarsi in aspetti diversi, tra cui l’addomesticazione del cavallo intorno al 5000 a.C da parte di alcuni popoli risiedenti nell’area che oggi si trova tra l’Ucraina dell’est e il nord del Kazahistan: questo avrebbe contribuito al sorgere di atteggiamenti bellici, invasori.
Aggressioni, invasioni, il passaggio dall’adorazione della Madre Terra al Sole, come testimoniato da ritrovamenti archeologici; la Dea Madre messa da parte, il Sole ne prende il posto come centro dell’esistenza dei popoli che diventano guerrieri e invasori delle pacifiche civiltà più “urbane”: è la nascita della guerra. La donna perde il suo ruolo centrale come procreatrice da cui tutto ha inizio: l’uomo si fa consapevole del suo ruolo di padre biologico.
Secondo Heide Goettner-Abendroth, la fondatrice dei moderni Studi Matriarcali, quelle portate avanti dalla Gimbutas sono parte del processo di trasformazione in patriarcato, ma non le cause all’origine dello stesso. Soprattutto la teoria del passaggio da una società pacifica (debole) come quella matrifocale ad una forte (aggressiva) degli uomini sarebbe in realtà una visione portata avanti dagli uomini occidentali.
È impossibile stabilire una teoria unica che spieghi il passaggio dall’una all’altra forma di civiltà. È certo che un ruolo importante lo ebbero i cambiamenti climatici. Questi, infatti, costringono i popoli a rinunciare alla sedentarietà e alla cultura basata sull’agricoltura e, per sopravvivere, devono emigrare e basare il proprio sostentamento sulla caccia e su un’economia predatoria.
Ed ecco quindi che nascono nell’Egeo le civiltà Achee, Persiane, Dori; civiltà di guerrieri dove Cibele, la più antica e primordiale delle divinità, la Dea Madre, viene soppiantata da un padre degli dei. Al contrario, lei viene relegata a ruolo di sua consorte, o assume anche tratti negativi come ci tramanda il mito con figure come quella delle Arpie.
Anche il mito si fa carico di trasmetterci la lotta di potere per il dominio tra uomo e donna. Ed ecco quindi che troviamo le Amazzoni, che secoli dopo prenderà ad esempio Bachofen, il popolo di donne guerriere dove i bambini maschi venivano fatti crescere come schiavi, quando non uccisi; dove l’uomo ha il solo scopo di aiutare nella procreazione. Le Amazzoni (dominio della donna) vengono, secondo il mito, sconfitte da Ercole (dominio dell’uomo) che in una delle sue celebri fatiche sconfigge la loro Regina, Ippolita.
Ma è anche la tragedia a occuparsi del passaggio delle due forme di civiltà.
Eschilo con la sua trilogia dell’Orestea affronta l’avvento del patriarcato attraverso le tre tragedie: Agamennone, Coefore ed Eumenidi.
Nella prima, Agamennone ritorna in patria dopo la vittoria nella guerra di Troia e Clitemnestra, sua moglie, lo uccide, colpendolo mortalmente con un’ascia. Secondo l’accademico italiano Mario Untersteiner, Clitemnestra rappresenterebbe la Potnia Theron, la dea degli animali spesso raffigurata accompagnata dal "paredro", il Signore dei Tori, qui rappresentato invece da Agamennone. Il toro, infatti, nel mito è l’animale sacrificale per eccellenza: difatti Clitemnestra, nel suo delirio, mentre uccide il Re con l’uso di una sacra labrys, vede morire non Agamennone ma un toro.
Per Untersteiner, la morte di Agamennone-paredro dà inizio al conflitto tra il mondo pre-ellenico (Clitemnestra) e il sorgere delle civiltà indoeuropee impersonate da Oreste.
Oreste nelle Coefore si fa assassinio di sua madre, come ordinatogli dal dio Apollo, forza maschile che annienta il dominio femminile-Clitemnestra. Oreste è perseguitato dalle Erinni, le dee vendicatrici figlie di Gea che tormentavano i delitti di consanguinei.
Nell’ultima delle tre tragedie, le Eumenidi, Oreste si rivolge ad Apollo che, promettendogli protezione, lo invia ad Atene presso il tempio della dea Atena, e nel mentre scaccia le Erinni. Queste raggiungono Oreste quando è ormai già arrivato nel tempio della dea ed intonano un canto di morte che viene interrotto da Atena.
La dea stabilisce che Oreste sarà giudicato tramite processo: Apollo (uomo/positivo) sarà la difesa, mentre le Erinni (donne/negative) l’accusa. Apollo nella sua difesa di Oreste spiega come il delitto da questi commesso sia in realtà la risposta ad un crimine ben peggiore, quello di Clitemnestra verso Agamennone.
L’omicidio di un marito è, secondo il dio, peggiore: è l’uomo che fornisce alla donna il seme da cui nasceranno i figli; si ribalta quindi la visione della donna come simbolo di procreazione per eccellenza. Il padre ha un’importanza maggiore rispetto alla madre.
La conclusione stessa delle Eumenidi è la testimonianza del passaggio definitivo da matriarcato a patriarcato. Il giudizio su Oreste è pari, manca solo il voto della dea Atena: la dea si pronuncia a favore di Oreste, per lei la figura paterna è più importante di quella materna.
Non a caso, Atena può essere ricondotta nel mito ad emblema del dominio del patriarca; la leggenda infatti vuole che Zeus, sentita una profezia che lo vede detronizzato dal figlio che nascerà da lui e Meti, dea della giustizia, inghiotte quest’ultima come suo padre Cronos fece con i suoi fratelli. Ma Meti era già incinta e un giorno, dopo un fortissimo dolore alle tempie, dalla testa di Zeus balza fuori Atena, armata di tutto punto e che diventerà la figlia prediletta del dio. Nata senza madre e sostenitrice del predominio del patriarcato.

di Tatiana Barone
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