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L’istruzione concede pari opportunità- Gli studenti stranieri e il diritto all’educazione in Italia

Il diritto all’educazione è sancito dall’articolo 28 della Dichiarazione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

La Costituzione della Repubblica Italiana sancisce all’articolo 34 il diritto all’istruzione obbligatorio e la legge prevede che i minori presenti sul territorio italiano hanno diritto all’istruzione di ogni grado, indipendentemente dalla regolarità del permesso di soggiorno. Ciò viene stabilito dell’art. 38 del decreto legislativo n. 286/1998 Testo Unico Immigrazione e dall’art. 45 comma 1 del DPR 394/1999 Regolamento attuativo TU Immigrazione.

L’istruzione non è però solamente una questione giuridica.

Avere una popolazione con alti livelli di abbandono scolastico conduce all’aumento della disoccupazione giovanile, al rischio di povertà ed esclusione sociale. Una persona che non possiede un livello minimo di istruzione è in genere destinata ad un lavoro dequalificato, precario e con un basso salario.

Andare a scuola vuol dire ricevere un'educazione profonda che permetta al bambino o bambina di scavalcare le barriere sociali ed avere una possibilità di sfuggire alla povertà; che consenta ai bambini, non solo di migliorare il proprio percorso di crescita, ma anche di sviluppare la propria personalità ed identità, oltre quelle che sono abilità fisiche ed intellettuali.

L’istruzione diviene un mezzo attraverso cui migliorare la qualità della vita di una persona ed un elemento fondamentale per lo sviluppo economico, sociale e culturale di essa.


In Italia l’abbandono scolastico non è un problema di secondo ordine: nel 2018 sono stati circa 598.000 i giovani tra i 18 e i 24 anni ad aver abbandonato precocemente la scuola; circa 90.000 bambine e bambini italiani di 4-5 anni non frequentano la scuola dell’infanzia, secondo i dati Istat del periodo 2008-2017.

L’abbandono scolastico è un problema di grande profilo soprattutto per le minoranze nazionali del nostro Paese e lo è ancor di più se si guarda ai bambini e le bambine richiedenti asilo o lo status di rifugiato.

Un cambiamento che ha certamente segnato le scuole italiane negli ultimi anni riguarda la presenza delle bambine ed i bambini non italiani.

Dal 2009 al 2019 il numero di studenti stranieri in Italia è aumentato di 184 mila unità, un dato di poco conto se confrontato con quello del decennio 1999-2009, in cui era aumentato di 510 mila.

Ma allora per quale ragione la percentuale degli alunni stranieri viene percepita in aumento oggi? Perché gli studenti italiani sono diminuiti negli ultimi cinque anni di quasi 350 mila.


Secondo il rapporto di UNHCR e UNICEF sull’accesso all’educazione per i bambini migranti e rifugiati in Europa, nell’anno scolastico 2016-2017, erano registrati nelle nostre scuole 634.070 alunni non italiani, pari al 9,5% del totale degli iscritti. Di questi, il 46% era iscritto alla scuola primaria, il 26% alla scuola secondaria inferiore e il 29% alla secondaria superiore.

Ad oggi, su oltre 8 milioni e mezzo di studenti nelle scuole italiane, circa 860.000 non possiedono una cittadinanza italiana.

Cosa comporta nello specifico per i bambini migranti avere un’istruzione?

Fa riflettere sapere che il 38% dei minorenni stranieri non accompagnati (MSNA) intervistati da UNICEF e REACH, ha dichiarato che il motivo principale della propria fuga verso l'Europa è stata la ricerca di un'istruzione.

Ma la realtà è complessa, soprattutto per le bambine e le ragazze, se sono loro a svolgere mansioni importanti, come prendersi cura dei fratelli più piccoli o dei parenti più anziani o sbrigare le faccende domestiche.

Eppure, se tutte le ragazze avessero la possibilità di completare la scuola primaria, i matrimoni precoci si ridurrebbero del 14% e del 64% se completassero la scuola secondaria.

Gli studenti migranti conseguono buoni risultati scolastici con maggiori difficoltà quando non viene dato loro il supporto adeguato ed è per tale ragione che più volte gli organismi delle Nazioni Unite hanno chiesto agli Stati europei uno sforzo maggiore, per assicurare a tutti gli Under 18 migranti, rifugiati e richiedenti asilo l’accesso ad un’istruzione di qualità e garanzie per il proseguimento del percorso didattico.

Il tasso di abbandono scolastico tra i bambini e gli adolescenti nati fuori dall'UE è oltre il doppio (25,4%), rispetto ai loro coetanei nati in Europa (11,4%).

Le cause principali dell’abbandono scolastico e degli scarsi risultati sono diverse: le barriere linguistiche, la scarsità di sostegno psico-sociale e di attività didattiche di recupero. Ad esempio, ad un bambino straniero che è appena arrivato in Italia, spesso non viene data la possibilità di imparare la lingua prima di iniziare l’anno scolastico e ciò costringe molti a perdere anni di scuola, poiché non è stata data loro la giusta preparazione linguistica.

Di grande rilievo divengono quindi gli stereotipi ed i giudizi che possono condurre a discriminazioni, fino ad atti di bullismo: spesso i bambini/e migranti sono visti come diversi e gli insegnanti non sono preparati per promuovere il multiculturalismo ed educare alla diversità.

Le sfide maggiori vengono affrontate dagli adolescenti, in particolare nell’età tra i 15 ed i 18 anni, una fase della vita che rende ancor più difficile un processo di integrazione, con l’aggravante che alcuni di loro potrebbero aver superato l'età della scuola dell'obbligo.

L'abbandono scolastico può avere un impatto significativo anche sul passaggio degli adolescenti e dei giovani dall'istruzione al lavoro.

Secondo le statistiche UE, i giovani nati all'estero (di età compresa tra 15 e 24 anni) hanno molte più probabilità di appartenere alla categoria NEET (not in education, employment or training) rispetto ai loro coetanei “autoctoni”.

L’Italia insieme alla Grecia, secondo i dati del 2017, possiede una delle percentuali più elevate di giovani NEET nati al di fuori dell'UE (rispettivamente 33,5% e 34,1%). Seguono Croazia (28,2%), Spagna (26%) e Francia (24,3%).

In Norvegia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Ungheria e Svizzera, si sono riscontrate quote molto più basse di giovani migranti NEET, grazie a politiche nazionali mirate.


Prima dell Covid-19, la probabilità che un bambino rifugiato non ricevesse un’istruzione era due volte più elevata rispetto a quella di un bambino non rifugiato. L’emergenza sanitaria ha peggiorato la situazione poiché molti potrebbero non avere l’opportunità di riprendere gli studi a causa della difficoltà di pagare le tasse d’iscrizione, i libri di testo, dell’impossibilità di accedere alle tecnologie per la didattica a distanza o perché costretti a lavorare per sostenere le proprie famiglie.

La scuola è il luogo fondamentale in cui si dà al bambino la possibilità di socializzare e quindi inserirsi in un processo di integrazione; questo diviene ancora più importante per un bambino straniero. Per tale ragione è nella scuola che dovrebbero nascere e concentrarsi dei metodi di integrazione mirati ed efficaci, ora lacunosi nel nostro sistema sociale e scolastico.

Andare a scuola è un diritto umano e pertanto l’accesso a questa deve essere consentito a chiunque, senza alcuna discriminazione di tipo culturale, economico o di origine. Tutti i bambini devono godere delle stesse opportunità e avere gli stessi mezzi educativi per costruire il proprio futuro.

Alessia Tonti, Grisela Lleshi, Laura Bergamaschi.

Se vuoi dirci la tua, scrivici a tidicolamiateamthr@gmail.com



 
 
 

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