Discriminazione di genere, al contrario- La lotta per la parità come unione non divisione
- It's time for human rights
- Jan 25, 2021
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Updated: Jan 25, 2021
Lo scorso 30 dicembre Camera e Senato hanno approvato la Legge di Bilancio 2021, che prevede un esonero contributivo per le assunzioni di lavoratrici donne, riconosciuto al 100%. L'agevolazione è prevista in via sperimentale nel biennio 2021-22, ma dovrà essere autorizzata dalla Commissione Europea.
I bonus che agevolano le assunzioni delle donne, sono presenti in Italia da diversi anni: chi non ha mai sentito parlare delle “quote rosa” o quote di genere, le quali stabiliscono una percentuale obbligatoria di presenza di entrambi i generi nelle attività lavorative, a causa della sottorappresentazione del genere femminile rispetto a quello maschile.
La legge Golfo-Mosca risalente al 2011, regola il sistema di quote nel nostro Paese. Inizialmente essa prevedeva che i Cda delle aziende quotate e delle società a partecipazione pubblica dovessero essere per il 20% donne; successivamente la percentuale fu portata al 30% nel 2015 e, nel dicembre 2019, al 40%.
Negli anni il sistema di quote di genere ha prodotto unicamente i risultati attesi, i numeri non hanno valicato gli obblighi previsti dalla legge: dal 2011 sono poche le società dove la presenza femminile è cresciuta oltre la quota stabilita, inoltre alcune società sono esenti dal rispetto della normativa, e proprio in queste ultime si sono registrati scarsi mutamenti.
Osserviamo già da una breve ed iniziale analisi che le quote rosa non hanno dunque prodotto risultati eccellenti.
Prendiamo in questione altre politiche, come il congedo o aspettativa di maternità, un periodo obbligatorio di assenza dal lavoro, garantito ad una dipendente che faccia parte di un'azienda pubblica o privata.
Il congedo può essere anche di paternità, ma soltanto in casi particolari. Esso è riconosciuto qualora si verifichino determinati eventi che riguardano la madre del bambino/a, in particolari casi: di morte o grave infermità della madre; abbandono del figlio da parte della madre; affidamento esclusivo del figlio/a al padre; rinuncia totale o parziale della madre lavoratrice al congedo di maternità a questa spettante; in caso di adozione o affidamento di minori.
Vi è una legge sul riequilibrio della rappresentanze di genere nelle liste elettorali la quale prevede che nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi; ma vi è anche l’obbligo della doppia preferenza di genere, che consente all’elettore di esprimere due preferenze, purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza.
Una prima domanda che ci poniamo, alla luce di queste linee di condotta, è se queste siano efficaci, se siano strumenti adeguati per raggiungere la parità di genere e se i passi compiuti siano stati realizzati semplicemente per un obbligo legale e non perché si desideri e si ritenga necessaria una equità di genere.
Una seconda più ampia riflessione che vorremmo portare alla luce oggi, riguarda l’esistenza di una discriminazione al contrario.
Qualora un’azienda per sopperire alla mancanza di personale femminile, non assume un uomo, forse anche più qualificato, sta facendo la cosa giusta o sta creando così una disparità nei confronti di tutti e due i generi e sottraendo valore alla meritocrazia?
Il congedo previsto alla nascita di un figlio/a può essere quindi concesso ad uno dei genitori, ma non ad entrambi. È corretto che la mamma trascorra del tempo con il proprio figlio/a e che dunque le sia assicurato il congedo. Allo stesso modo, anche un padre ha parimenti diritto a godere dei primi mesi di vita del bambino/a, ma non può usufruire del congedo di paternità se non vi è una situazione specifica come quelle sopra elencate. Non è quindi vittima di discriminazione al contrario?
La discriminazione al contrario si manifesta in più ambiti della nostra vita.
La stessa scelta della professione: nei dettami della società un uomo non dovrebbe occuparsi delle faccende di casa, mentre la donna lavora. Ad esempio, avete mai sentito o utilizzato la parola “casalingo”? (per approfondire il tema vai su “parole e sessismo”).
Così come la donna si sentirebbe vincolata, soggetta a giudizi poco piacevoli, se scegliesse di diventare muratore o meccanico, qualora un uomo decidesse di assumersi la responsabilità della gestione della casa o di occupare ruoli come parrucchiere o estetista, molto probabilmente sarà vittima delle stesse sentenze: discriminazione al contrario.
Come non fare riferimento all’ambito sportivo: un ragazzo vuole diventare ballerino? Probabilmente è omosessuale, meglio il calcio, quello sì che è da uomo.
Perché suscita clamore se ad arbitrare una partita di calcio è una donna e se invece di una affascinante segretaria al front desk di un ufficio, troviamo un affascinante segretario? Per quale ragione ci aspettiamo che nei negozi di abiti femminili o di make up ci sia una donna e non un uomo?
Certamente quest’ultimo non sarà capace, sono attitudini femminili.
Pensiamo ora alle favole e fiabe, i primi racconti quali i bambini e le bambine ascoltano, esempi di vita reale che influenzano già in parte la loro visione del Mondo.
Nelle favole la mamma è casalinga, il papà il poliziotto.
Le bambine ballano, mentre i bambini giocano con la palla; le prime stanno a casa al sicuro, i secondi combattono contro i più acerrimi nemici.
Di lei si sottolinea la bellezza e la grazia, di lui il coraggio e l’animo buono.
Ricordate il racconto de “La bella e la bestia”? La bella rappresenta il genere femminile, mentre la bestia il genere maschile.
Ci troviamo di fronte ad una doppia discriminazione: nelle nostre menti quando sentiamo parlare di discriminazione di genere, pensiamo sempre alla donna quale indifesa, debole, bisognosa di protezione. Ma esiste anche la discriminazione del genere maschile.
L’indagine Eurofound (EWCS 2015), mostra che lo 0,7% degli uomini dice di aver subito una discriminazione di genere. Il dato è cresciuto tra il 2010 e il 2015: da 0,2% a 0,7% per il genere maschile e da 2,1% a 3,1% per quello femminile.
Attraverso questa considerazione non vogliamo sminuire l’importanza di combattere la visione errata dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo, riteniamo però, che sia fondamentale smettere di pensare al femminismo estremo: non esiste l’uno più forte dell’altro, esiste o almeno dovrebbe esistere soltanto e semplicemente equità.
Il movimento del femminismo, nasce nell’800, per tendere alla parità economica, politica e sociale. Molti credono che il femminismo evidenzi la superiorità femminile rispetto al genere maschile: un’interpretazione errata.
Chiunque afferma che le donne siano migliori o superiori dei maschi non è femminista, ma si converte in sessista. Non è una battaglia, non c’è nessun femmine contro maschi e nessuno che debba dominare il Mondo.
La lotta all’equità di genere spesso rischia di diventare discriminazione, al contrario.
Le politiche pubbliche non rappresentano un malvagio metodo per agevolare l'inclusione femminile, ma il problema va risolto alla base: valutare l’assunzione di donne in azienda in base alle proprie capacità e non agli sgravi fiscali; educando fin da piccoli alla parità di genere, a ritenere che sia il merito a contare e non il sesso.
Il nostro scopo è liberarci di ruoli e idee stereotipate di mascolinità e femminilità, cercare di vivere in un mondo equo, dove ognuno è libero di vivere ed esprimersi secondo la propria identità, indipendentemente dal genere, dai giudizi e sempre, rispettando l’altro.
Alessia Tonti, Grisela Lleshi e Laura Bergamaschi
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