La cura delle persone è una scelta di marketing- Il ruolo delle case farmaceutiche
- It's time for human rights
- Feb 22, 2021
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Le prime dosi di vaccino contro il COVID-19 sono state somministrate e molti sono stati i disegni e programmi connessi al piano vaccinale, come quello di dare precedenza ai paesi che possiedono un reddito elevato. A questa affermazione sono seguite diverse discussioni: tutti e tutte dovrebbero essere curati, in maniera equa, a prescindere da origini o benessere.
La realtà è però molto distante da questa visione egualitaria e non riguarda soltanto la politica interna dei singoli Paesi, ma bisogna allargare il nostro quadro geopolitico.
Le popolazioni del Terzo Mondo, in via di sviluppo, sono già consapevoli che vivere nei propri Paesi, condizionerà la loro possibilità di essere vaccinati.
«A nessuno dovrebbe essere impedito di ottenere un vaccino salvavita a causa del Paese in cui vive o della quantità di denaro che ha in tasca», ha affermato Anna Marriott, responsabile delle politiche sanitarie di Oxfam.
Ed ecco che i dati ci mostrano il divario dato dal denaro che si possiede: il 96% delle dosi del vaccino Pfizer-BioNTech, è stato acquistato dall'Occidente, così come è accaduto per il vaccino Moderna. I prezzi di entrambi sono alti e l'accesso per i Paesi a basso reddito, di per sé già complesso, viene aggravato dalle basse temperature alle quali dovranno essere conservati i vaccini.
Al 18 gennaio 2021 le dosi somministrate in tutto il Mondo erano 41,39 milioni, di queste 13 milioni sono state usate negli Usa, 4,5 in Gran Bretagna, 2,6 in Israele, 1,8 negli Emirati Arabi. L'unica Nazione in via di sviluppo entrata per ora in possesso del Vaccino è la Guinea, grazie a una campagna sperimentale con un prodotto russo messo a punto dai laboratori del Gameleya Institute.
Secondo il Global Health Innovation Center della Duke University, Carolina del Sud, i Paesi ad alto reddito hanno ottenuto 4,2 miliardi di dosi del vaccino, mentre i Paesi a basso reddito 675 mila.
La distribuzione di un vaccino segue quindi logiche economiche; allo stesso modo la scelta di produrre un farmaco anziché un altro è una questione di marketing.
Lo sviluppo di un farmaco comporta costi elevati, per questa ragione le industrie farmaceutiche dovendo far fronte ad una serie di spese, tendono a privilegiare la produzione di farmaci da cui possono ottenere ricavi economici. Parliamo dunque di farmaci che possono essere utilizzati per lungo tempo e da ampie fette di popolazione, ma soprattutto da popolazioni in grado di pagarli: si tratta di farmaci usati per curare le malattie più diffuse nei Paesi industrializzati.
Da questi meccanismi rimangono esclusi le neglected diseases (malattie trascurate) e le malattie rare.
Nel caso delle malattie rare, anche qualora un farmaco possa avere successo, avrebbe un mercato molto limitato: non solo non ci sarebbe un ricavo, ma non verrebbero neanche coperti i costi di produzione. Emerge però, come per i vaccini, una questione etica che vincola uno Stato ad assicurare la salute dell’intera popolazione. Proprio per questo, sono i Governi ad attivarsi, con il fine di favorire lo sviluppo di farmaci destinati alle malattie rare.
La differenza fra quest’ultime e le neglected diseases è che le seconde sono malattie infettive molto diffuse in Paesi sottosviluppati e non in Paesi industrializzati, dunque propagatesi in Paesi che non sono in grado di pagare i farmaci. Di conseguenza, l’industria farmaceutica più raramente studierà molecole destinate al trattamento di patologie diffuse nel Terzo Mondo.
Meno del 10% della spesa pubblica per la ricerca sanitaria globale è dedicata alle malattie che colpiscono il 90 % più povero della popolazione mondiale.
Il senso etico resta forte: in questi casi, chi si fa carico di una giusta condotta morale? Le Organizzazioni o i privati, attraverso opere di beneficenza. Ad esempio Bill Gates è una tra le persone che hanno finanziato la ricerca di farmaci per le neglected diseases.
Può succedere che le malattie trascurate vengano a diffondersi anche nei Paesi industrializzati e così, la logica economica non deve far altro che venire allo scoperto ed evidenziare ingiustizie.
I casi sono quelli dell'AIDS o delle meningiti batteriche, delle infezioni che provocano danni ai polmoni, perfettamente controllabili nei Paesi industrializzati, ma non affatto in quelli in via di sviluppo.
Si è trovata una cura alla malaria poiché essa può essere veicolata nel Mondo sviluppato attraverso il turismo in zone endemiche o poiché tali zone sono state terre di conflitti.
Il ruolo cruciale delle società farmaceutiche non termina qui: esse sono autorizzate a stabilire i prezzi dei farmaci e dei vaccini e determinare la loro distribuzione, ponendo il profitto al di sopra delle vite umane. Invece di promuovere la ricerca e l’innovazione medica, le compagnie farmaceutiche private, aumentano all’interno dei mercati, i prezzi di farmaci già esistenti. Attraverso questa pratica, l’industria farmaceutica ha ottenuto una crescita rapidissima e il più alto profitto di questo millennio, raggiungendo 1,2 miliardi di dollari nel solo 2018.
L’unico valore che le case farmaceutiche private vedono nei Paesi in via di sviluppo è la possibilità di usarli come un laboratorio di sperimentazione. Questa comporta elevati costi, i quali possono essere notevolmente coperti sfruttando cavie umane.
Non mancano appelli ad un cambiamento di rotta e piani risolutivi a livello internazionale.
La People's Vaccine, agenzia che si occupa di povertà, in accordo con l’OMS chiede a tutte le società farmaceutiche che si occupano di vaccini, di condividere apertamente la loro tecnologia in modo da accelerare la produzione di dosi, affinché vi sia una maggiore copertura su scala globale.
L’Oms insiema a Gavi Alliance ha ideato Covax (COVID-19 Vaccines Global Access Facility): una collaborazione importante, su scala globale, che porta avanti l’obiettivo di accelerare lo sviluppo e la produzione dei vaccini per il COVID-19 e di garantire un accesso equo a tutte le Nazioni del Mondo.
Uno studio recente, guidato da Sebnem Kalemli-Ozcan, professoressa alla University of Maryland, ha considerato diversi scenari, sia dal punto di vista economico che epidemiologico. In quello più verosimile, le economie più floride immunizzeranno quasi completamente la popolazione entro aprile, mentre i Paesi aventi maggiori difficoltà riusciranno a vaccinare solo la metà dei loro cittadini entro la fine dell’anno.
Nel caso in cui questo scenario si realizzasse, la perdita economica globale ammonterebbe a 3 763 miliardi di dollari in più rispetto al caso in cui la campagna di vaccinazione procedesse ovunque, ad un’andatura comune. Il 50% di questa perdita sarebbe sofferta dalle economie avanzate.
In uno scenario più estremo, in cui i Paesi in via di sviluppo non hanno nessun tipo di accesso alle vaccinazioni, la perdita economica globale sarebbe quasi doppia.
Con l’avanzare della pandemia nei Paesi in via di sviluppo, le Nazioni ricche vedrebbero da una parte diminuire il volume delle loro esportazioni e dall’altra rallentare il loro ritmo di produzione, a causa della difficoltà di reperire sul mercato internazionale gli elementi indispensabili alla realizzazione dei prodotti.
Ancora una volta non possiamo negare l’evidenza: diverse problematiche, in qualsiasi ambito e sotto qualsiasi punto di vista, non possono rimanere a decantare nei confini dei territori poveri; i loro problemi sono anche i nostri problemi. Il principio di uguaglianza dovrebbe essere il principale motore risolutivo e chi è in possesso di maggiori e più efficaci strumenti ha il dovere di guidare questo percorso e di perseguire questo obiettivo.
Alessia Tonti, Grisela Lleshi, Laura Bergamaschi.
Se vuoi dirci la tua, scrivici a tidicolamiateamthr@gmail.com

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