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Linguaggio e realtà - La lingua è un binario su cui viaggia il pensiero

Updated: Jan 21, 2021

Eccoci qui con una nuova parola di attualità. Il tema cardine e centrale di questa settimana è la discriminazione di genere, che oggi tratteremo andando ad indagare il rapporto esistente tra linguaggio e realtà. Il modo in cui il linguaggio con i suoi automatismi linguistici può andare ad influire sul nostro inconscio e sulla nostra visione del mondo. Se, e in che modo la lingua può condizionare il sessismo. Inoltre, cercheremo di comprendere cosa comporta la mancata declinazione al femminile di specifici termini.


Approfondiremo questo tema, intervistando Valentina Molinari, dottoressa in strategie e tecniche della comunicazione e specializzata in semiotica. Cominciamo!


D: La lingua si può dire che è un binario su cui viaggia il pensiero, che racchiude e propone al suo interno una visione del mondo. Del resto, la sua funzione è quella di orientarci nel mondo e in quanto tale non è neutra. Sapendo ciò, in che modo il linguaggio con i suoi automatismi, può condizionare e influenzare la nostra visione del mondo sin da piccoli? Secondo lei, in che modo è possibile favorire la consapevolezza di queste sue eventuali influenze?


V.M: A questa domanda risponderei con la teoria del relativismo linguistico.

La discussione riguardo l’influenza della lingua sul pensiero persiste da diversi anni. Si può dire che tutto è iniziato quando l’antropologo Benjamin Whorf, nel 1940, ha pubblicato un articolo sul principio della relatività linguistica, secondo cui lingue differenti, grammatiche differenti, implicano visioni del mondo diverse. Questo perché ogni lingua punta i riflettori su diversi aspetti della realtà ed è per questo che non è possibile sovrapporre del tutto le strutture semantiche di diverse lingue.

Klemperer analizzò la lingua tedesca del Terzo Reich, mettendo in luce come l’agire delle persone fu influenzato da essa, sostenendo che il potere di Hitler era legato proprio ad un certo tipo di utilizzo della lingua tedesca del Terzo Reich.

Recentemente alcune studiose, come Spelke e Hespos, hanno condotto varie ricerche in particolare su bambini di 5 mesi, confermando alcuni aspetti fondamentali del relativismo linguistico. Ad esempio i bambini i cui genitori parlavano loro lingue differenti riuscivano a “vedere” un evento nello stesso modo, in quanto ancora non lo avevano categorizzato. Questo avviene anche con i suoni: nel momento in cui noi categorizziamo i suoni, alcuni di essi per noi diventano irrilevanti perché non utilizzati nella nostra lingua madre, però quegli stessi suoni possono essere fondamentali per un’altra lingua.

Se da un lato questa categorizzazione ci permette di distinguere cose differenti fra loro, dall’altro lato, limita il nostro modo di leggere la realtà; pertanto, ritornando alla domanda, lo condiziona. In questo senso il linguaggio condiziona il nostro modo di vedere il mondo.


D: La lingua non è il riflesso diretto di fatti reali, ma esprime la nostra visione dei fatti; inoltre, fissandosi in certe forme, può condizionare e guidare tale visione.

Nella lingua, insomma, non sono depositati intrinseci principi di verità, ma semplicemente le nostre opinioni, o meglio sedimentate nel corso dei secoli nella comunità alla quale apparteniamo.

In questo senso, si può parlare di lingua che può condizionare il sessismo o di sessismo condizionato dalla lingua?

A proposito di ciò ricollegandomi a questo interrogativo, se pensiamo ad esempio all’utilizzo della desinenza femminile nella denominazione di specifiche professioni, nell’uso del linguaggio comune, ci rendiamo conto che alcune tipologie di professioni sono sempre state declinate al maschile e ancor oggi c’è una certa resistenza in merito, ad es. pensiamo alla forma avvocato/avvocatessa; ingegnere/ingegnera; presidente/presidentessa. Tuttavia, automaticamente usiamo le coppie cameriere/cameriera, infermiere/infermiera; parrucchiere/parrucchiera; cassiere/cassiera, ragioniere/ragioniera. Pertanto, se la desinenza femminile in -iera non crea alcun problema fino al livello dell'ultimo esempio, perché lo crea quando si passa alla professionista con laurea?

La prima considerazione che mi viene in mente è che un tempo la professione di ingegnere, avvocato o presidente, ad esempio, era esclusivamente appannaggio maschile.

Cosa ne pensi al riguardo, imparare a declinare al femminile è un passo necessario o, come molti sostengono, si tratta di puro formalismo?


V.M: Nell’uso della nostra lingua è ancora molto insolito sentir usare nomi di professionisti declinati al femminile come “ministra”, “avvocata” etc, questo perché ci risulta ancora difficile superare alcune barriere mentali date da una marcata e netta divisione tra ruoli maschili e ruoli femminili. È dagli anni Ottanta che in Italia si è aperto il dibattito sul “sessismo linguistico”, sulla scia del linguistic sexism statunitense degli anni ’60-’70. Alma Sabatini fu tra le prime ad approfondire questo argomento in ambito socio-linguistico riconoscendo al linguaggio il ruolo di costruzione di identità e quindi, ovviamente, di identità di genere femminile e maschile, focalizzando la sua attenzione sulle dissimetrie sia grammaticali che semantiche. Se, ovviamente, si sente un’enunciazione al maschile, tendenzialmente si fa sempre un’associazione al maschile: in questo modo la pratica linguistica fa emergere un’immagine delle donne in forte contrasto con la loro evidente ascesa sociale. Esiste, infatti, secondo la Sabatini, una falsa neutralità del maschile che viene delineata come universale ma in realtà da un’impronta androcentrica alla lingua. Ciò porta, secondo la Violi, a percepire la forma femminile sempre come l’altro (l'Alter) rispetto al soggetto universale.

Considerando che la lingua è dinamica, viene spontaneo interrogarsi sul motivo per cui la lingua non cambi con il cambiare della società. Bisogna considerare, però, che i cambiamenti linguistici non possono essere programmati e non sono repentini, ma sono una conseguenza naturale dei cambiamenti socio-culturali.


D: Nella traduzione, il primo aspetto importante da apprendere e considerare è la cultura del paese di cui poi si andrà a tradurre la lingua.

Sapendo ciò in che modo la cultura può influenzare la lingua?


V.M: È grazie alla traduzione che possiamo parlare oggi di un mondo interconnesso. Questo perché la traduzione non è il semplice atto di trasferimento di una parola da una lingua a un’altra, ma richiede una vera e propria immersione in una cultura differente. In una lingua una parola può avere varie sfumature legate alla cultura e per questo è difficile da tradurre in un'altra lingua. Wilhelm von Humboldt considerava le lingue come una manifestazione della cultura e delle esperienze di un determinato popolo e quindi della sua visione del mondo. Da questo punto di vista, ogni traduzione rappresenta una specie di interpretazione un po’ forzata di un punto di vista differente dal nostro. Negli anni ’50-’60 si provò a considerare la traduzione come un tentativo di code switching, (ossia commutazione di codice), con lo sforzo di trovare nelle diverse lingue degli elementi che potessero essere sostituiti con elementi equivalenti di un'altra lingua. In poche parole le lingue venivano considerate come sistemi sovrapponibili, ma come ho detto anche prima, ogni individuo nel percepire il messaggio crea delle associazioni differenti, cioè una codifica differente. Quindi una traduzione come quella che si è cercata di fare negli anni ’50-’60 in realtà non era, non poteva essere considerata una traduzione fedele, veritiera. In realtà la traduzione può essere vista come uno strumento di comunicazione tra culture, come un’espressione del rapporto più intimo tra lingue differenti che citando Benjamin “deve amorosamente ricreare nella propria lingua il suo modo d’intendere per far apparire così entrambe frammenti di una lingua più grande.”


In conclusione, ci terremmo a ringraziare ancora Valentina Molinari per la sua disponibilità.


Ci piacerebbe sapere cosa vi ha particolarmente colpito dell’argomento e se avreste altre curiosità da approfondire.

Scrivi a tidicolamiateamthr@gmail.com e dicci la tua! Cosa ne pensi, quali riflessioni o interrogativi ti poni al riguardo?

Alla prossima parola!

Alessia Tonti, Grisela LIeshi e Laura Bergamaschi







 
 
 

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