Do Women Have To Be Naked To Get Into the Met. Museum? Guerrilla Girls
- It's time for human rights
- Jan 17, 2021
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Era il 1989 quando a New York un gruppo anonimo di femministe, le Guerrilla Girls, espose un poster provocatorio nel quale si domandava ironicamente:
Do Women Have To Be Naked To Get Into the Met. Museum?
La ragione di questa provocazione risiedeva nella volontà di denunciare la discrepanza tra la quantità di opere di artiste esposte e quella di nudi femminili presenti nei musei. Dall’indagine condotta dal gruppo, emerse che meno del 5% degli artisti nella sezione di Arte Moderna del Metropolitan Museum of Art di New York erano donne, ma contemporaneamente l’85% dei nudi mostrava il corpo femminile. Questi dati sono sintomatici di una realtà prevalente nel mondo dell’arte ieri come oggi: la donna-artista è quasi del tutto assente, mentre la donna-modella rappresenta il connubio prediletto.
Per secoli le donne sono state private della possibilità di condividere con il mondo il proprio talento, limitandosi a ricoprire il ruolo che gli uomini attribuivano loro. Esse sono state muse ispiratrici che incarnavano virtù come grazia, bellezza e fertilità; sono state mogli e madri, come nell’arte dell’epoca fascista che le riduceva a essere l’angelo del focolare con il dovere primario della maternità, affinché si preservasse e perpetuasse la razza italica; sono state simbolo di peccato, perdizione, sensualità e ribellione quando hanno iniziato a rompere gli schemi di una società fortemente patriarcale e maschilista.
È a partire dagli anni ’60 che l’aria del cambiamento comincia a soffiare in tanti ambiti della vita umana, compreso quello artistico. La rivoluzione femminista è stata innescata con la conseguenza che le donne si sono riappropriate del proprio corpo, che ha cessato di essere mero oggetto del desiderio e della rappresentazione maschile, per divenire uno strumento nelle loro mani per dare finalmente voce al punto di vista femminile e alla sua espressione artistica, caricata spesso di valenze politiche.
L’ondata femminista nel mondo dell’arte mira ad influenzare i comportamenti culturali preminenti, così da modificare gli stereotipi a lungo perpetrati a danno di donne e uomini, in modo tale che ognuno possa sentirsi libero di esplorare la propria identità spogliati dagli schemi mentali che ci vogliono in un determinato modo.
Le artiste, attraverso le loro opere, intraprendono un lungo e tortuoso percorso di esplorazione di sé e degli altri: si vuole analizzare l’essere umano per quello che è, un corpo fatto di luci ed ombre, paure e trepidazioni. Tutto è fatto di complessità, tuttavia ciò che è importante è fare propria questa consapevolezza e agire liberi da sovrastrutture.
Attraverso la performance, la Body art, la fotografia, le artiste desiderano trasmettere agli spettatori un messaggio fisico e viscerale, creando con loro un legame diretto, immediato e potente. Il corpo si tramuta in azione e parola.
È corretto parlare di femminismo nell’arte? Indubbiamente, la ribalta della donna come soggetto artistico attivo si intreccia con le lotte femministe della storia, tuttavia non bisogna sottovalutare tanti altri fattori che spingono a intraprendere una rivoluzione contro un ordine precostituito. Pertanto, sarebbe opportuno prediligere il termine plurale femminismi, cosicché si possa abbracciare un discorso multiculturale in contrasto con il femminismo tradizionale borghese e bianco, il quale sappia coniugare tra loro i fattori sociali, razziali, culturali e sessuali fondanti identità divergenti, rendendo possibile una lettura intersezionale e comparativa dell’emancipazione femminile nel mondo dell’arte.
C’è parità tra uomini e donne nell’arte? Finora, si è evidenziato come le donne si siano battute, e lo facciano tutt’ora, per vedersi riconosciuto il loro valore. Malgrado le continue battaglie in atto, la strada è ancora lunga da percorrere e gli ostacoli appaiono ancora insormontabili.
Studi recenti hanno rilevato le elevate discrepanze ancora esistenti tra artisti e artiste sotto diversi punti di vista.
Il settore artistico e culturale è caratterizzato dal cosiddetto soffitto di vetro per le donne, nel senso che gli uomini godono di maggiori possibilità di avanzamento di carriera, con la conseguenza di poter guadagnare di più, rispetto alle donne a causa di stereotipi di genere riguardo ai ruoli e alle richieste del settore, in base ai quali l’uomo è più adatto perché sottratto alle responsabilità domestiche.
In poche parole, solo il 40% delle donne ricopre ruoli di leadership, mentre il 60% appartiene agli uomini. Inoltre, anche le opportunità di guadagno sono agli antipodi: gli artisti guadagnano il 24% in più delle colleghe. Se guardiamo all’assegnazione di premi prestigiosi, anche qui non si nota alcun cambiamento di rotta, vale a dire che solo il 37,7% è assegnato alle artiste.
Segnali negativi si hanno anche sul fronte dell’apprezzamento e del riconoscimento del valore artistico delle loro opere, in quanto un sondaggio di Kooness sottolinea quanto il sesso dell’artista influenzi la percezione dell’opera, sottostimandola se si tratta del lavoro di donne. Infine, data la grande attenzione che da sempre il corpo femminile riveste nell’arte, si innesca una dinamica di potere di genere tra uomini e donne, che porta queste ultime a essere vittime di molestie sessuali.
Il quadro appena dipinto non appare dei migliori. Ahimè, vi devo dare ragione! Però, non mi piace lasciarvi con l’amaro in bocca. Certamente, la condizione della donna nell’arte non è delle più rosee, tuttavia questo non significa assolutamente che manchino artiste di ineguagliabile valore, capaci di ritagliarsi prepotentemente il loro posto nel mondo e diffondere messaggi di forza, attivismo e positività.
Sono sicura che tutt* conosciate la grande Marina Abramovic, ormai famosa per l’utilizzo, talvolta estremo, del proprio corpo durante le sue performance, fatto per indagarne i limiti e le potenzialità espressive e per impossessarsi del proprio spazio. Da sempre, è impegnata nella denuncia della violenza contro le donne e dei crimini nelle zone di guerra.
Amy Sherald è una pittrice afroamericana, che ha stravolto il modo di dipingere ritratti ad olio di afroamericani, prediligendo la tecnica della grisaglia (dipinto eseguito interamente nei toni del grigio) per riprodurre le sfumature della pelle, così da sfidare le convenzioni sul colore della pelle e sulla razza, oltre a voler creare una narrazione alternativa sulla vita afroamericana negli Stati del Sud degli Stati Uniti. A proposito dei suoi soggetti, Amy Sherald ha affermato: “[…] Le mie figure dovevano essere spinte in modo universale nel mondo, dove potevano entrare a far parte della narrativa storica dell'arte tradizionale […]”.
Regina José Galindo è un’artista, poetessa e performer guatemalteca, che ha tramutato il suo corpo in uno strumento di denuncia di una vasta gamma di peccati, che avvelenano e fanno marcire la nostra società, ossia le ingiustizie sociali, la corruzione politica, la tratta di schiave sessuali e il genocidio in Guatemala. Galindo è un’attivista politico-sociale che, attraverso il suo lavoro artistico, tenta di sensibilizzare e mettere in contatto mondi che apparentemente appaiono lontani, ma che in realtà sono molto più vicini di quanto si pensi. Recente è il progetto intitolato “Lavarse las manos”, parte del grande progetto intitolato “Cuestiones de estado”, il cui tema cardine è quello della migrazione, tanto caro alla Galindo, che lo vive in prima persona nella sua terra natia.
Il progetto dell’artista consiste nel far raccontare ai migranti la propria esperienza personale di migrazione con tutti i rischi e pericoli che essa ha comportato, per poi successivamente accusare i poteri internazionali di essere gli artefici del depauperamento dei paesi di origine del fenomeno migratorio, oramai inferni dai quali scappare. Il titolo del progetto è ironico e serve per far comprendere che “non si può lavarsene le mani, le proprie decisioni ricadono su troppe altre persone”. La figura di Regina José Galindo può essere ben compresa mediante le sue stesse parole: «Non accetto nessun attacco, atti di discriminazione e di sottomissione, e ho deciso di denunciare».
Vorrei salutarvi con un omaggio ad una delle più grandi critiche dell’arte Made in Italy che, purtroppo, ci ha lasciati il 20 ottobre 2020 a causa del Covid-19: Lea Vergine. La sua penna resterà alla storia per essere pura e sensazionale; dotata di un’intelligenza sopraffina, Lea Vergine è riuscita ad entrare in connessione con tutte le arti e ad interpretarne l’evoluzione; forte sostenitrice del valore indispensabile delle donne nei processi e nei fenomeni artistici.
«La colpa non sta nelle nostre stelle, nei nostri ormoni, nei nostri cicli mestruali o nei nostri vuoti spazi interni, ma nelle nostre istituzioni e nella nostra educazione».
L. Nochlin

Martina Benincasa e Francesca Maria Menchinelli
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Saremo felici di conoscerti!
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