Con la cultura non si mangia, si respira
- It's time for human rights
- Mar 2, 2021
- 5 min read
Secondo le stime dell’ILO, ad oggi, in generale, sono stati persi 255 milioni di posti di lavoro. Dall’inizio della pandemia, i settori culturali e creativi sono tra quelli che stanno pagando maggiormente il costo delle misure di contenimento del virus. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha calcolato una percentuale di rischio dell’occupazione in suddetti settori, la quale è compresa tra lo 0,8% e il 5,5% nelle regioni OCSE.
Entrambi i settori sono capaci di esercitare un’influenza positiva sia in termini economici che sociali. Ad esempio, essi si configurano tra i settori produttivi più proficui dell’economia grazie alla loro capacità di generare cospicui introiti e posti di lavoro (basti pensare alle entrate conseguite con i cinema, i musei, le mostre, i festival, i concerti, i teatri, etc.). Inoltre, hanno un’incidenza positiva sul benessere e sulla salute delle collettività; incoraggiano l’innovazione e la ricerca di nuovi modi per usufruire dei servizi offerti, come dimostrato proprio durante la pandemia.
Eppure, questi settori sono stati abbandonati a loro stessi.
Le loro difficoltà hanno attirato solo marginalmente l’attenzione dei governanti, che hanno iniziato a voltare il loro sguardo in questa direzione solo in seguito alle insistenti e manifestate insofferenze dei lavoratori del mondo culturale e creativo.
La quasi totale indifferenza della classe dirigente verso la cultura è sintomatica di una società plasmata sul consumismo e sulla massima “il tempo è denaro”. Sempre più raramente ci si ritaglia tempo per ammirare la bellezza che ci circonda, perché la diamo per scontata. Tuttavia, se non ce ne prendiamo cura, iniettandole linfa vitale, cosa ci aspettiamo di trovare alla fine della pandemia?
A mio avviso, soltanto desolazione e povertà d’anima.
Bisogna precisare che le problematicità di questa realtà non sono una conseguenza diretta dell’epidemia da Covid-19; anzi, esse esistevano anche prima. La pandemia ha semplicemente amplificato un malessere già esistente, portandolo ad un picco massimo.
I governi nazionali hanno adottato determinate misure per il sostegno e la ripresa dei settori creativi e culturali. Molte delle misure adottate sono comuni a tutte le politiche nazionali. Si è fatto ampio ricorso a misure di finanziamento pubblico, come sussidi e sovvenzioni a favore di imprese e lavoratori; compensazione delle perdite; fondi per mutui e garanzie; incentivi agli investimenti; indennità di disoccupazione; sgravi fiscali; aiuti anticipati e rinvio dei pagamenti; politiche di cambiamento strutturale.
Per fronteggiare l’impossibilità per alcuni lavoratori di questa categoria di accedere al sostegno nazionale, l’Unione Europea offre tutele attraverso il suo programma Europa Creativa, cioè il programma quadro della Commissione Europea per il sostegno ai settori della cultura e degli audiovisivi.
Le misure approvate dal governo italiano non differiscono molto da quelle menzionate in precedenza. Quindi, anche il nostro Stato ha optato ad esempio per la sospensione dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria; l’indennità di 600 euro per i lavoratori dello spettacolo; voucher per cinema, spettacoli, musei; l’istituzione e l’implementazione di vari fondi di emergenza (Fondo emergenza spettacolo, cinema e audiovisivo; Fondo copy right; Fondo MAECI per la promozione del sistema paese all’estero).
Ma, queste misure sono adeguate?
Se si ascolta la voce di chi ha fatto della cultura la sua fonte di sostentamento, la risposta che otterremmo è NO!
Indubbiamente, i rinvii e le sospensioni di pagamento possono dare una leggera boccata d’ossigeno, però nel lungo periodo le chiusure forzate rischiano di causare un soffocamento generale. Come dice il critico d’arte e saggista Luca Nannipieri: “non serve rinviare l’iva e le tasse, perché, se non guadagni nulla, quale iva versi e quali tasse potrai pagare?”. E mi verrebbe da aggiungere: come fai semplicemente a vivere?
Le figure professionali di questi settori guardano da sempre con una certa ammirazione la Francia, dove i loro colleghi possono sempre fare affidamento sul cosiddetto Intermittence, ossia il sistema di sostegno per i lavoratori dello spettacolo. Esso consiste in un sussidio di disoccupazione per la durata di 12 mesi destinato a coloro che hanno accumulato almeno 507 ore di lavoro in 12 mesi, con contratti a tempo determinato. È un sistema di protezione per assicurare una sorta di pensione nei periodi di inattività.
Comunque, non è oro tutto ciò che luccica. Infatti, anche in Francia, la situazione di questa categoria è da sempre complicata e precaria. Il Coronavirus ha privato i lavoratori di ore di lavoro, con il rischio sempre più reale di poter solo beneficiare dell’indennità minima di 400€.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di soluzioni a breve termine e adottate in maniera uniforme per la ripresa economica generale. Questo vuol dire che non tengono conto delle specificità dei settori creativi e culturali, né tantomeno dei loro sotto-settori, con la conseguenza che molti lavoratori non riescono a beneficiare dei ristori previsti.
Sulla scia di questa inadeguatezza di risposte, i lavoratori culturali hanno organizzato scioperi, proteste, sit-in, flashmob da nord a sud per richiedere l’apertura in sicurezza dei loro luoghi di lavoro, così da facilitare la ripartenza e sopperire ai ritardi e all’assenza di misure economiche a loro vantaggio. Inoltre, supportati dai sindacati e dai movimenti studenteschi, essi hanno invitato il Ministero dei Beni Culturali, e più in generale la classe dirigente, ad investire nell’innovazione e nello sviluppo del settore culturale e dell’istruzione, strettamente legati, affinché la conoscenza sia accessibile veramente a tutti.
La crisi pandemica ha costretto i settori culturali e creativi a reiventarsi.
Dal punto di vista della forza lavoro, ricordiamo che gli artisti sono in gran parte precari, con uno stipendio inferiore a quello di un operaio e con meno diritti e tutele riconosciuti. L’emergenza sanitaria ha esasperato ancora di più questa precarietà, perciò la gran parte degli artisti e delle artiste in ogni paese del mondo ha dovuto ripiegare su un altro lavoro per poter sopravvivere.
È nota la storia di Adriano Urso, pianista jazz, che si è reiventato rider per poter affrontare la crisi non solo in termini economici, ma anche di convivialità con l’altro. Purtroppo, la sua storia si è conclusa tragicamente, poiché morto d’infarto durante una consegna; ma, resta comunque indicativa dell’esigenza provata dai suoi colleghi di fare necessità virtù, per così dire.
D’altro canto, la situazione surreale che stiamo vivendo ha incentivato l’innovazione del settore, che si è fatto promotore di una massiccia digitalizzazione dei suoi contenuti. Certamente, questa fruizione culturale digitale non è sostenibile nel lungo periodo, in quanto non si crea una consistente occupazione e si tratta di iniziative per lo più gratuite; però, allo stesso tempo, si sono gettate le fondamenta affinché la cultura sia quanto più inclusiva possibile.
Dinnanzi all’insufficienza di risposte statali, il mondo culturale non si è lasciato abbattere e gli artisti si sono uniti in un movimento di solidarietà reciproca. Ricordiamo l’iniziativa Scena Unita, ideata da Fedez e promossa da un collettivo di artisti e lavoratori del mondo dello spettacolo, il cui scopo è realizzare una raccolta fondi da destinare ai lavoratori del mondo dello spettacolo e in particolare della musica, promuovendo anche progetti per la ripartenza del settore.
I settori culturali e creativi sono costituiti da luci ed ombre; queste ultime messe in evidenza proprio dalla crisi dovuta al Covid-19.
I lavoratori culturali da sempre sono messi a dura prova e il loro diritto al lavoro è sempre stato calpestato e ignorato.
Se questa emergenza ci sta insegnando qualcosa, è che bisogna ripensare in termini sostenibili alla rinascita della cultura poiché non possiamo vivere senza di essa.
Oggi, tutto il mondo ha bisogno della cultura. Essa ci dà speranza, ci fa sentire uniti e stimola la nostra resilienza. Fa bene all’anima, è inutile negarlo. Se ripensiamo al primo lockdown, il momento di riunirsi sui balconi per cantare e ballare insieme era atteso con trepidazione, perché ci faceva sentire più vicini anche se lontani fisicamente.
È aberrante constatare quanta poca attenzione venga data ad un mondo che ci dà tanto. Voglio lasciarvi con le parole di Ernesto Ottone, Assistente Direttore Generale per la Cultura dell’UNESCO:
“Il coronavirus, come tutte le crisi, ha fatto crescere il desiderio di cultura delle persone e delle comunità. In un momento storico in cui miliardi di persone sono fisicamente separate, la cultura è un legame che ci unisce, che fornisce conforto, ispirazione e speranza al tempo dell’incertezza e dell’ansia”.

Martina Benincasa
Se vuoi dirci la tua, scrivici ad arte.thr@gmail.com
Keep in touch!
Comments